I believe everyone has two homelands; one is his own, the closest one; and the other one is Italy.

(Henryk Sienkiewicz, Nobel prize in Literature, 1905)

Gli eredi del Grand Tour

di Roberto Tartaglione

Il famoso Grand Tour si sa, comincia nel Seicento come moda lanciata dagli aristocratici inglesi e continua nei secoli successivi allargandosi un po’ a tutti (quelli che potevano permetterselo, s’intende). I protagonisti del viaggio somigliano in modo impressionante ai “cultural travelers” che frequentano le nostre “Italian schools for foreigners”.

Un modo furbastro per darci artificiosamente delle “nobili origini”? Be’, giudicate voi.
Prima di tutto però va detto che i viaggiatori del Grand Tour, artisti e pensatori di altissimo livello, non erano né linguisti né antropologi: negli scritti sull’Italia che ci hanno lasciato, se le riflessioni artistiche, archeologiche, archivistiche, paesaggistiche e perfino politiche sono spesso profonde e accurate, quelle sul comportamento degli italiani non brillano né per profondità né per accuratezza.

Del resto non è così anche per noi quando viaggiamo? Quel tale che in Germania ha provato a viaggiare un giorno in cui c’era uno sciopero dei treni, che cosa racconta delle pur perfette ferrovie alemanne? “Ah, poi parlano male di noi! E io in Germania? 10 ore da Colonia a Stoccarda ci ho messo!”.

Come condannare allora quel francese che nel 1723, provando ad andare da Roma a Napoli, ha la disavventura di rompere una ruota della carrozza, di trovarsi abbandonato in una landa desolata, di essere derubato dai briganti e poi di finire in un albergaccio a caso, sporco e pieno di pulci? C’è da stupirsi se scrive che “Quelli che hanno flagellato Gesù Cristo dovevano essere del Napoletano o delle Calabrie: il sud è un paradiso abitato da diavoli!”?

E quell’inglese che nel 1765 scrive che le donne italiane sono “le più boriose, insolenti, capricciose e vendicative femmine della terra”, avrà fatto uno studio speciale sul mondo femminile italiano o era solo reduce da una storia finita male con una italica donzella?
Ma anche quando le scuole trovano ai loro iscritti “alloggio in famiglia” hanno forse inventato qualcosa di nuovo? Già dal Settecento i granturisti si sono accorti che gli alberghi costano molto mentre “si può andare in locande o in appartamenti privati dove è anche più facile imparare la lingua”.

Via, non è difficile tollerare gli stranieri quando si lasciano andare a qualche luogo comune sugli italiani.

Che “i genovesi sono avari” in fondo lo diceva pure Montesquieu! E perfino il motto “lingua toscana in bocca romana” è abbastanza datato. Lo pensavano in parecchi che il fiorentino “suona male” con quelle aspirazioni “simili all’arabo”. Ma c’è anche lo spagnolo che alla fine del Settecento sostiene che “quel brutto dialetto però nella bocca delle ragazze diventa più grazioso, soprattutto se le ragazze sono bonitas”. E chi, nelle nostre scuole d’italiano L2, non se l’è presa qualche volta con quei gruppi di universitari stranieri che sembrano più dediti a far la bella vita invece che a ingobbirsi sulla grammatica? Nessuna novità: quando Gogol era a Roma, diceva “Lo sai cosa fanno qui i pittori russi? A mezzogiorno mangiano alla trattoria Lepre, poi verso le due sono al Caffè Greco, una passeggiata al Pincio e poi si beve qualcosa al Buon Gusto. A cena di nuovo al Lepre e poi tutti al biliardo”. Per questo, parecchie volte, i giovani di buona famiglia il viaggio in Italia lo affrontavano in compagnia di un tutore che aveva il compito di controllare che il viaggio culturale… fosse davvero culturale.

Oggi il tutore non c’è più. Ci sono però le Italian language schools for foreigners, guide nell’apprendimento della lingua, consigliere per l’escursione giusta, che segnalano i posti da visitare (e quelli da lasciar perdere), che assistono durante il soggiorno e che magari si accertano pure che, almeno nei giovani, le passioni carnali non prevalgano troppo su quelle culturali.

Non siamo quindi eredi di questa antica tradizione? Sì, e tutti se ne potrebbero accorgere. Tutti, escluse le istituzioni che nella crisi economica generata dalla pandemia finanziano librerie e sexy shop, piste da sci e armerie, guide alpine e ristoranti: ogni categoria possibile, escluse le scuole d’italiano. Diciamo la verità: della nostra esistenza non lo sa nessuno. E centomila viaggiatori “di qualità” in meno in Italia… che fa? Che importa se sono gli eredi di quelli che hanno costruito San Pietroburgo o di quelli per cui nel 2010 il Congresso degli Stati Uniti riconosceva in Palladio il “Padre dell’architettura americana”? Il prossimo anno tutti vaccinati, sulle navi da crociera infilate nel Canal Grande, a fotografare San Marco!
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