
di Roberto Tartaglione
Il famoso Grand Tour, si sa, comincia nel Seicento come moda lanciata dagli aristocratici inglesi e continua nei secoli successivi allargandosi un po’ a tutti (quelli che potevano permetterselo, s’intende). I protagonisti del viaggio somigliano in modo impressionante ai “viaggiatori culturali” che frequentano le nostre “scuole d’italiano per stranieri”.
Un modo furbastro per darci artificiosamente delle “nobili origini”? Be’, giudicate voi.
Prima di tutto però va detto che i viaggiatori del Grand Tour, artisti e pensatori di altissimo livello, non erano né linguisti né antropologi: negli scritti sull’Italia che ci hanno lasciato, se le riflessioni artistiche, archeologiche, archivistiche, paesaggistiche e perfino politiche sono spesso profonde e accurate, quelle sul comportamento degli italiani non brillano né per profondità né per accuratezza.
Del resto non è così anche per noi quando viaggiamo? Quel tale che in Germania ha provato a viaggiare un giorno in cui c’era uno sciopero dei treni, che cosa racconta delle pur perfette ferrovie alemanne? “Ah, poi parlano male di noi! E io in Germania? 10 ore da Colonia a Stoccarda ci ho messo!”.
Come condannare allora quel francese che nel 1723, provando ad andare da Roma a Napoli, ha la disavventura di rompere una ruota della carrozza, di trovarsi abbandonato in una landa desolata, di essere derubato dai briganti e poi di finire in un albergaccio a caso, sporco e pieno di pulci? C’è da stupirsi se scrive che “Quelli che hanno flagellato Gesù Cristo dovevano essere del Napoletano o delle Calabrie: il sud è un paradiso abitato da diavoli!”?
E quell’inglese che nel 1765 scrive che le donne italiane sono “le più boriose, insolenti, capricciose e vendicative femmine della terra”, avrà fatto uno studio speciale sul mondo femminile italiano o era solo reduce da una storia finita male con una italica donzella?
Ma anche quando le scuole trovano ai loro iscritti “alloggio in famiglia” hanno forse inventato qualcosa di nuovo? Già dal Settecento i granturisti si sono accorti che gli alberghi costano molto mentre “si può andare in locande o in appartamenti privati dove è anche più facile imparare la lingua”.
Via, non è difficile tollerare gli stranieri quando si lasciano andare a qualche luogo comune sugli italiani.

Oggi il tutore non c’è più. Ci sono però le scuole d’italiano, guide nell’apprendimento della lingua, consigliere per l’escursione giusta, che segnalano i posti da visitare (e quelli da lasciar perdere), che assistono durante il soggiorno e che magari si accertano pure che, almeno nei giovani, le passioni carnali non prevalgano troppo su quelle culturali.
